domenica 26 aprile 2009

Il postprocessing 2 - Calibrazione colore

Il nostro obiettivo è semplice ma al contempo ambizioso: desideriamo realizzare un'immagine della nebulosa planetaria a colori e che si avvicini il più possibile alla visione "reale" dell'oggetto, proprio come se ci trovassimo sospesi nello spazio nelle vicinanze di M27.

Utilizzando qualsiasi programma di elaborazione delle immagini, ci rendiamo presto conto che la manipolazione dei colori così come della luminosità o del contrasto, ci porta a creare centinaia di modalità di visualizzazioni, a volte molto differenti l'una dall'altra.
Questi potenti strumenti informatici, più che aiutarci, così come avviene nelle fotografie terrestri tradizionali, in questo caso ci disorientano e ci lasciano perplessi: quali sono i veri colori degli oggetti celesti?

Le nostre incertezze sono dovute al fatto che non abbiamo nella nostra memoria visiva un'immagine "reale" di confronto, come può avvenire per gli oggetti terrestri: il rosso "Ferrari" , per fare un esempio, sappiamo com'è e possiamo più o meno avvicinarci ad esso se abbiamo necessità di equilibrare i colori di una foto sportiva fatta ad un Gran Premio. Con tecniche più oggettive, i fotografi professionisti utilizzano la tecnica del "bilanciamento del bianco" che consiste nell'equilibrare i tre canali RGB fondamentali in modo tale che un oggetto bianco o grigio abbia gli stessi valori di pixel nel rosso, nel verde e nel blu.
Ma il rosso delle emissioni H-alfa presente in tante nebulose (compresa questa) come appare nella realtà? Anche con telescopi di grande apertura e sotto cieli incontaminati è difficilissimo cogliere i reali colori di nebulose galassie e comete perchè i nostri occhi lavorano in regime di bassissima illuminazione: siamo in una situazione di visione scotopica: i nostri occhi faticano a distinguere differenze di cromaticità e tutto quanto ci appare quasi in "bianco e nero" (e questo è possibile constatarlo anche nella normale visione notturna terrestre).

Ma così come esiste un riferimento "terrestre" per il colore bianco, anche in astronomia possiamo utilizzare un "faro celeste" di riferimento: il nostro Sole, o meglio, le stelle che, come il nostro Sole, sono di una ben precisa e determinata classe spettrale: la G2V. Esattamente come la luce del Sole a mezzogiorno (o meglio, allo zenit) viene considerato lo standard per la luce bianca terrestre, le stelle della stessa classe spettrale G2V possono essere prese a riferimento standard per il colore bianco nelle immagini astronomiche.

Un elenco di queste stelle di riferimento lo si può trovare qui, insieme al file .tdf per poterle identificare nel programma GUIDE, ottimo ed economico planetario multifunzione che utilizzo spesso a supporto delle mie osservazioni.

Il nostro set d'immagini di M27 non era però stato acquisito con l'intento di fare della tricromia ad uso "estetico", quindi non abbiamo ripreso una di queste stelle utilizzando lo stesso set strumentale: dobbiamo accontentarci di quello che abbiamo (accade spesso, purtroppo!)
Per continuare questo breve tutorial possiamo però fare una ragionevole approssimazione: cercare nel campo inquadrato una stella di classe spettrale molto vicina a quella di riferimento.


Aiutiamoci ancora una volta con GUIDE: questo programma può rappresentare le stelle con il colore corrispondente alla classe spettrale d'appartenenza (vedi sopra) ed è sufficiente cliccare con il tasto destro sulla stella per leggerne le informazioni disponibili: le stelle di classe G sono rappresentate in giallo e notiamo subito che ci possono essere due candidate a Est della nebulosa. Quella più in basso, molto luminosa, la dobbiamo subito scartare in quanto risulta sempre sovresposta, mentre quella un po' più in alto, appena al di sotto della variabile DQ Vulpeculae, è quasi perfetta: si tratta della HD 345452 ed è di classe spettrale G5, un pizzico più "arancione" del nostro Sole. Certamente questa piccola differenza non avrà un effetto tangibile nel nostro processo di calibrazione colore.


Abbiamo un'ulteriore fortuna: al momento della ripresa del set di immagini, M27 era ad oltre 70 gradi sopra all'orizzonte, quindi risulta praticamente nullo ogni effetto di arrossamento dovuto all'assorbimento atmosferico.

Ora che abbiamo tre immagini RGB equivalenti (stesso tempo d'esposizione) dello stesso oggetto ripreso con lo stesso identico set strumentale e per di più nella stessa serata, senza che l'oggetto abbia cambiato significativamente la propria altezza sul cielo, possiamo procedere al calcolo dei coefficienti per la correzione del colore tenendo come riferimento la stella HD 345452. L'operazione è molto semplice: per ogni immagine R, V e B si misurano i flussi in ADU della stella campione, utilizzando ad esempio la finestra di zoom ed utilizzando il puntatore a "corona".


Nell'immagine sopra possiamo vedere come avviene la misura del flusso stellare: si sceglie un raggio per l'apertura centrale in pixel in modo tale da contenere la maggior parte del flusso stellare (in genere si sceglie un'apertura pari a 4-5 volte la FWHM della serata). Sulla barra di stato della finestra compaiono tre numeri V, S e B: si tratta rispettivamente del flusso al netto del valore di fondo cielo, del flusso comprensivo del fondo cielo ed infine del valore locale del fondo cielo. Annotiamo il valore V per le tre immagini in R, G e B:

VR = 334173 ADU
VG = 211426 ADU
VB = 103364 ADU

Calcoliamo i pesi dei colori rispetto, ad esempio, al canale del rosso otteniamo:

R = 334173 / 334173 = 1,00
G = 334173 / 211426 = 1,58
B = 334173 / 103364 = 3,23

Sostituendo questi tre coefficienti a quelli corrispondenti calcolati in automatico da Astroart nella finestra di Tricromia, otteniamo finalmente l'immagine con i colori bilanciati rispetto ad una stella di classe spettrale simile al nostro Sole (vedi qui in basso).


Se andiamo a confrontare l'immagine qui sopra con quella bilanciata in modo automatico da Astroart noteremo una certa differenza: in questo caso il bilanciamento automatico ha privilegiato i canali verde e blu.

Nell'immagine sopra, correttamente equilibrata con una stella di classe spettrale simile a quella del Sole, la maggior parte delle stelle appaiono giallo-arancione; quella utilizzata per il calcolo dei coefficienti appare perfettamente bianca, mentre, indagando più a fondo, vi sono alcune stelle con colori del tutto particolari, dal rosso acceso all'azzurro al blu (vedi immagine sotto).

1 - Variabile DQ Vul: si tratta di una gigante rossa, variabile del tipo "Mira". La stella bianca in basso alla sua destra è la nostra stella di riferimento HD 345452, utilizzata per il bilanciamento dei colori.

2 - La stella centrale di M27 è una nana bianca e appare di un deciso colore azzurognolo.

3 - Variabile "Goldilocks": è con ogni probabilità una variabile a lungo periodo della classe "Mira". La particolarità che distingue questa stella è la curiosa circostanza che ha portato alla sua scoperta: pensate che è stata identificata per la prima volta da un astronomo dilettante della Repubblica Ceca confrontando ... due copertine di riviste astronomiche!

4 - Una misteriosa stella che si contraddistingue per il deciso colore blu.

Nel grafico in alto una raccolta di spettri di stelle di differente classe spettrale: ogni spettro è stato separato nella scala della luminosità relativa per evitare sovrapposizioni (dati tratti da Pickles 1998).
Come si vede le stelle emettono radiazioni luminose su tutta la banda dello spettro visibile: il colore (ovvero la temperatura superficiale) è determinato dalla posizione del picco di luminosità.

Le nebulose planetarie però, così come i resti di supernove o le zone di formazione stellare nelle galassie, emettono le radiazioni su bande molto più isolate e ristrette: si dice che hanno uno spettro di "emissione", caratterizzato da righe di luminose generate da elementi ionizzati, specialmente l'idrogeno e l'ossigeno. Il colore di questo tipo di oggetti dunque è fortemente caratterizzato da queste "discontinuità" nelle emissioni di radiazione e soprattutto dal nostro "sistema di visione" ovvero dal telescopio, dalla camera CCD e, soprattutto, dai filtri utilizzati per la ripresa.
Per renderci conto meglio di questo meccanismo è conveniente costruire un grafico: fatta 100 una ipotetica intensità di emissione della riga spettrale, o di trasmissione di un filtro o di efficienza quantica della nostra camera CCD, possiamo disegnare rispettivamente:

le righe di emissione più importanti della nostra nebulosa planetaria (Hbeta a 486,1 nm, OIII a 495,9 e 500,7 nm e Halfa a 656,3 nm) rappresentate da delle rette continue verticali;
le curve di trasmissione dei filtri B, V ed R rappresentate da delle curve tratteggiate;
l'efficienza quantica dell CCD (Q.E) rappresentata da una curva continua di colore fucsia.


La riga di emissione dell'ossigeno 2 volte ionizzato OIII sui 500,7 nm è di gran lunga la più intensa e perciò quella che domina la luminosità e il colore della nebulosa. La seconda riga più importante come intensità è quella dell'idrogeno per la transizione H alfa a 656,3 nm. Notiamo che quest'ultima cade praticamente in modo esclusivo sotto l'area del filtro rosso, come è giusto che avvenga dato che è ad una lunghezza d'onda dello spettro luminoso decisamente nel rosso.
Diversa e più delicata è la situazione per la riga dell' OIII sui 500,7 nanometri: notiamo che cade nella zona di interferenza dei due filtri B e V: infatti, si nota anche nella scala cromatica in riportata in ascissa, i 500 nm sembrano separare quasi esattamente la zona blu dalla zona verde dello spettro cromatico. Purtroppo questa dicotomia perfetta non è rappresentata altrettanto bene dai filtri utilizzati: infatti la riga dell' OIII viene intercettata dal filtro V intorno al 50% della sua intensità relativa. La stessa riga però è intercettata dal filtro B solo per il 7% della sua intensità relativa! Ecco perchè la nebulosa ci appare così verde!
Per riequilibrare un po' le cose dobbiamo dare lo stesso peso del verde al filtro blu, ovvero, con una semplice proporzione B = 0,5/0,07 = 7,14.

Torniamo quindi alle nostre 3 immagini in R V e B della nebulosa e attraverso il comando Tricromia di Astroart applichiamo i seguenti coefficienti:

R = 1,00
G = 1,00
B = 7,14

Il risultato? Eccolo qui sotto.


Se affianchiamo le due immagini centrate sulla nebulosa possiamo apprezzare ancor meglio le differenze.

Dunque, ricapitolando: abbiamo tentato una prima calibrazione dei colori con la tecnica della stella campione di classe spettrale simile al nostro Sole ovvero una stella G2V. Le stelle apparivano con colori compatibili con le loro classi spettrali ma la nebulosa manteneva una forte tonalità verde: è così anche nella realtà? Probabilmente no. Infatti abbiamo visto che queste nebulose, a differenza delle stelle, emettono essenzialmente su righe ben definite dello spettro elettromagnetico. In particolare, M27 presenta una forte emissione sulla riga dell'ossigeno tre volte ionizzato [OIII] che ha la peculiarità di emettere intorno ai 500 nanometri, cioè proprio in mezzo al passaggio dal blu al verde dello spettro elettromagnetico.
Tutto dipende quindi da come agiscono i filtri B e V(=G) utilizzati.
In particolare, il filtro V utilizzato per questo set di riprese, cattura almeno il 50% dell'emissione a differenza del filtro B che ne registra solo il 7% (a parità ovviamente del tempo d'esposizione). Per riequilibrare i colori (cioè portare al 50% anche il contributo del filtro Blu) abbiamo quindi moltiplicato il coefficiente colore del filtro Blu per un opportuno fattore (nel nostro caso B = 0,5/0,07 = 7,14 mantenendo R = 1 e V = 1).
Poichè ogni filtro è diverso (persino gli stessi filtri della medesima casa produttrice presentano delle leggere differenze) occorre determinare l'influenza di questi rispetto alla riga dell'OIII e ridefinire i coefficienti RGB del colore.
Così facendo, tuttavia, torniamo a squilibrare i colori delle stelle.
Ne deriva che, con sole 3 immagini RGB non potremmo mai realizzare un'immagine con nebulosa e stelle contemporaneamente equilibrate nei colori.
In realtà si potrebbe correggere l'immagine con del pesante fotoritocco (ma non è questo il nostro scopo), oppure, ancora più complesso e costoso, si può correggere utilizzando una quarta immagine, realizzata con un filtro a banda stretta sui 500,7 nm, da aggiungere o nella banda blu o nella banda verde, dopo aver effettuato la calibrazione colore delle stelle con il metodo G2V.