lunedì 7 gennaio 2008

Il "gain" e la "full well capacity"

Prima di esporre l'importantissimo argomento del gain di una camera CCD, introduciamo un'altrettanto importante caratteristica di un sensore CCD: la Full Well Capacity. I fotoelementi che compongono la matrice di un CCD possono essere visti come dei microscopici contenitori di elettroni: il numero di elettroni che possono essere contenuti in ciascun fotoelemento viene generalmente indicato dai costruttori dei CCD con il termine Full Well Capacity (FWC). L'analogia del contenitore è ancora più adatta se pensiamo che maggiore è la dimensione del fotoelemento e maggiore sarà la sua capacità di contenere elettroni. Così ad esempio un sensore KAF-0401E della Kodak composto da fotoelementi quadrati da 9 micron di lato ha una FWC di circa 100000 e- mentre il sensore SiTE della camera Apogee Ap7p ha fotoelementi quadrati di dimensione 24 micron con una FWC di circa 300000 e-. E' chiaro che quando un fotosensore non è più in grado di contenere elettroni, la camera CCD non sarà più in grado di contarli: il sistema ha raggiunto la saturazione. Ma questo è un altro argomento che vedremo più avanti.

Il gain di una camera CCD è un numero che esprime a quanti elettroni corrispondono ogni ADU nell'immagine generata dalla stessa camera. Ricordiamo che con ADU (Analog to Digital Unit) indichiamo l'unità di misura dell'intensità luminosa di un pixel dell'immagine CCD. In pratica è il valore numerico associato ai pixel di un'immagine digitale.

Il gain è un parametro che viene impostato dal costruttore della camera CCD in base alla scelta del convertitore analogico-digitale: gli elettroni catturati durante l'esposizione vengono convertiti in ADU dall'integrato ADC (Analog to Digital Converter o convertitore analogico-digitale). La "precisione" di questo convertitore viene misurata in bit : maggiore è il numero di bit del convertitore e maggiore sarà la capacità del dispositivo di distinguere il segnale in elettroni formato dall'esposizione del CCD: 12 bit = 2^12 = 4096 valori, 15 bit = 2^15 = 32768, 16 bit = 2^16 = 65536 valori, ecc..

Un metodo per determinare il gain da utilizzare in una determinata camera CCD è quello di confrontare la FWC dei fotoelementi del sensore con il numero più grande che può conteggiare il convertitore analogico-digitale: così ad esempio, sempre nel caso del sensore SiTE della camera Apogee Ap7p (FWC =300000 e- con un convertitore a 16 bit) abbiamo:

gain = 300000 / 65536 = 4,6 e-/ADU

Ed in effetti nel data-sheet della camera CCD troviamo riportato un gain di 4,4 e-/ADU: questo valore è quindi correttamente impostato per sfruttare al meglio le caratteristiche del convertitore analogico-digitale in base alla capacità che ha ogni singolo fotoelemento di raccogliere elettroni.

Occorre fare però attenzione: il gain rappresenta anche l'unità di discretizzazione minima, vale a dire che il sistema non è in grado di distinguere valori inferiori ad esso (es. un numero di elettroni inferiori a 4,4 come nel caso precedente). Questo fatto introduce un nuovo concetto di rumore: il rumore di discretizzazione. Più alto è il gain e maggiore sarà il rumore di dicretizzazione. Anche questo tipo di rumore può essere importante in quanto influenza la precisione delle misure fotometriche, specialmente negli oggetti estesi e poco luminosi come le comete e le galassie.

mercoledì 2 gennaio 2008

Il "readout noise"

Il readout noise o rumore di lettura viene espresso in termine di elettroni per pixel introdotti nel segnale finale dopo che è avvenuta la lettura del sensore CCD. Questa è la prima importante sorgente di "rumore" con la quale dovremo inevitabilmente convivere perchè generata dagli stessi componenti elettronici della camera CCD.

Trattandosi di un rumore, non può avere un valore preciso: i matematici per descriverlo utilizzano una particolare funzione: la curva di Gauss o gaussiana:

Certo che a prima vista una formula del genere può spaventare ma "traduciamola" in un grafico:

Nel grafico qui sopra sono riportate come esempio tre gaussiane con la tipica forma a campana, tutte centrate sullo stesso valore medio (lettera greca "mu") zero, ma di diversa ampiezza (lettera greca "sigma" al quadrato) detta "varianza". La varianza è un indice di dispersione dei dati e ci dà un'indicazione immediata della quantità di "rumore" presente nel nostro campione di dati: maggiore è la varianza, più ampia è la campana e più "rumorosi" sono i dati in nostro possesso. Comunque, più che utilizzare la varianza, generalmente per indicare la dispersione di una serie di dati si utilizza la sua radice quadrata ("sigma") normalmente indicata con il termine deviazione standard. Tutto questo lo abbiamo visto in una semplice applicazione pratica quando abbiamo affrontato l'argomento del BIAS FRAME ed in particolare nella procedura per ottenere il READ NOISE FRAME.

Tornando alla formazione del readout noise, possiamo vedere che consiste di due componenti:

  1. la conversione di un segnale analogico in un numero non è mai perfettamente ripetibile: sia gli amplificatori integrati sul sensore che i convertitori analogico-digitali producono una distribuzione statistica di possibili risultati centrati su di un valore medio. Quindi anche nell'ipotetico caso di poter leggere lo stesso pixel due volte con la stessa identica carica, potrebbe produrre due valori leggermente differenti l'uno dall'altro.
  2. l'elettronica stessa che compone la camera digitale può introdurre elettroni di disturbo nell'arco dell'intero processo di lettura e conversione portando inevitabilmente a fluttuazioni casuali del risultato finale di lettura.

La media di queste due componenti d'incertezza è quello che chiamiamo readout noise.
Nelle camere CCD commerciali il readout noise può variare dai 5 a oltre 20 e-/pixel. Ovviamente più è basso questo valore migliore è la camera CCD in questione. In particolare i CCD con un elevato readout noise non sono adatti quando è necessario utilizzare la tecnica della somma o della media di più immagini per aumentare il rapporto segnale-rumore: l'immagine finale non avrà la stessa qualità di una singola lunga esposizione dello stesso tempo totale d'integrazione, in quanto ogni singola immagine porterà con sè il contributo del readout noise per ogni pixel che contribuirà alla somma o alla media.

martedì 1 gennaio 2008

Il FLAT FIELD

Il FLAT FIELD è un'immagine di un campo di intensità luminosa perfettamente uniforme. Il FLAT FIELD verrà poi utilizzato nel pretrattamento delle immagini astronomiche per eliminare due importanti difetti: la differenza di sensibilità che inevitabilmente può esistere da un pixel all'altro di un sensore CCD e le varie disuniformità di campo generate dalle ottiche del telescopio e dalla sporcizia che spesso si può accumulare nelle vicinanze del piano focale del nostro strumento.

Diciamo subito che non è una cosa semplicissima da ottenere poichè bisogna essere effettivamente certi che il campo inquadrato sia del tutto uniforme. Esistono essenzialmente due metodi per ottenerlo:
  1. riprendere una zona del cielo sufficientemente luminosa durante l'alba o il tramonto ma lontani dal sole per evitare gradienti di luminosità (sky-flat);
  2. riprendere uno schermo bianco ed uniforme allestito nelle pareti della cupola opportunamente illuminato (direttamente o indirettamente) con una sorgente luminosa bianca e costante (dome-flat).
Comunque la si ottenga l'immagine finale del FLAT FIELD deve avere una caratteristica molto importante: avere un elevato rapporto segnale-rumore. Ricordiamo infatti che ogni qualvolta faremo un'operazione matematica su due o più immagini (come la divisione del FLAT FIELD), i "rumori" presenti nelle immagini si sommeranno quadraticamente. Se avremo dei FLAT FIELD con un basso rapporto segnale-rumore, rischieremo di andare a peggiorare ancor di più le immagini che desideriamo correggere. In pratica occorre che il valore medio dei pixel che lo compongono sia almeno intorno ai 2/3 dell'effetiva dinamica dell'immagine. Se per esempio sappiamo che una camera CCD si comporta linearmente tra i valori di 3000 e 55000 ADU, il valore medio del FLAT FIELD può ragionevolmente attestarsi sui 35000 ADU o più (senza ovviamente superare i 55000 ADU).
Ricordiamo inoltre che occorre prendere una serie di FLAT FIELD (da combinare successivamente con una mediana ed ottenere così il MASTER FLAT FIELD) per ogni combinazione ottica utilizzata per le riprese delle immagini GREZZE. Vale a dire che se utilizziamo ad esempio tre filtri B V ed R per fare la tricromia di un oggetto celeste, occorrerà successivamente riprendere tre serie di FLAT FIELD, una per ogni filtro utilizzato. Non solo, se nel corso delle riprese occorre cambiare il fuoco dello strumento, necessariamente occorrerà riprendere delle serie di FLAT FIELD fatte con la nuova configurazione di fuoco. In sostanza, ogni qualvoltà è necessario modificare lo schema ottico dello strumento, sarà necessario riprendere i corrispondenti FLAT FIELD per quella configurazione ottica.

Un tipico MASTER FLAT-FIELD ripreso all'Osservatorio di Cavezzo con il telescopio Newton 0.4m. f/5.5 attraverso il filtro V di Johnson-Cousins e la tecnica dello SKY-FLAT. Si noti la notevole disuniformità di campo, la presenza di alcuni grani di polvere fuori fuoco (con la classica forma a ciambella con il buco) e di gruppi di pixel "freddi".

Entrambi i metodi per l'acquisizione dei FLAT FIELD hanno i loro vantaggi e/o svantaggi che analizzeremo in breve. Ricordiamo solo che è necessario in entrambi i casi utilizzare il telescopio nella posizione di fuoco usata per la ripresa delle immagini: viene da sè che occorre fare una serie di FLAT FIELD per ogni filtro utilizzato.

SKY-FLAT
  • Occorre scegliere con cura una zona del cielo possibilmente povera di stelle e riprendere la serie di SKY-FLAT o con l'inseguimento telescopico spento o cambiando rapidamente campo tra una posa e la successiva in modo di non avere mai le stesse stelle di campo. Questo ci permetterà poi, utilizzando la combinazione mediana della serie di SKY-FLAT, di ottenere un MASTER FLAT FIELD senza il disturbo dato dalla presenza delle stelle di campo.
  • Devono essere ripresi nello stretto intervallo del crepuscolo quindi il tempo a disposizione può essere veramente poco, soprattutto se è necessario riprendere più serie di flat con diversi filtri.
  • Durante il crepuscolo l'intensità luminosa del cielo cambia rapidamente con il risultato che otteremo delle serie di SKY-FLAT con valori medi anche molto differenti l'uno dall'altro: questo fatto falserebbe irrimediabilmente la successiva combinazione con mediana della serie per ottenere il MASTER FLAT FIELD. Ad esempio, l'eventuale presenza di stelle nelle singole immagini, non verrebbe eliminata con l'operazione mediana. Per risolvere questo problema, prima di applicare la combinazione a mediana, occorre riscalare tutte le immagini su uno stesso valore medio (ad es. con Astroart è possibile utilizzare una macro con il comando Immagine > Normalizza background).
  • Lo sky-flat ha la risposta spettrale più naturale per la correzione delle immagini con il MASTER FLAT FIELD: per ottenerlo infatti si utilizza la stessa sorgente luminosa utilizzata per le immagini GREZZE ovvero il fondo cielo stesso!
Ecco come si presenta un tipico SKY-FLAT ripreso insieme ad altri 9 per ottenere il MASTER FLAT FIELD visibile sopra.

DOME-FLAT

  • Lo svantaggio principale del dome-flat è che è necessario attrezzarsi ed ingegnarsi per ottenerlo: le soluzioni possono essere tante e dipendono tantissimo dalla strumentazione che abbiamo e da come abbiamo strutturato il nostro osservatorio, ad esempio se siamo fortunati possessori di una struttura fissa con cupola oppure abbiamo un piccolo osservatorio mobile attrezzato per spedizioni outdoor. In quest'ultimo caso può essere utile il progetto di Giovanni Benintende visibile al link http://www.astrogb.com/art_flatbox.htm .
  • Nel caso dell'Osservatorio di Cavezzo invece, in prossimità dell'apertura della cupola viene allestito uno schermo di plexiglass simile al vetro smerigliato: una sogente di luce bianca esterna viene accesa ad una distanza sufficiente ad illuminare lo schermo in modo adeguato ed uniforme. A questo punto è possibile puntare il telescopio sullo schermo (dal quale è distante poche decine di centimetri) e riprendere le sequenze di dome-flat con il tempo d'esposizione necessario ed in tutta tranquillità.
  • Un altro svantaggio, forse maggiore del primo per chi fa fotometria, è dato dalla risposta spettrale della sorgente di luce utilizzata che non sarà mai in grado di riprodurre esattamente quella del fondo cielo.