martedì 11 agosto 2009

L'istogramma

L'istogramma di un'immagine digitale è una rappresentazione grafica del numero di pixel presenti per ogni valore di intensità.

Trovo utile spiegare meglio questo concetto con una semplice analogia: immaginiamo di creare un'immagine con i valori delle monete della nostra valuta: ogni moneta rappresenta una porzione elementare dell'immagine (associabile a ciò che normalmente chiamiamo "pixel") e ad ogni moneta è ovviamente associato un valore in centesimi di Euro o in Euro (associabili a ciò che normalmente chiamiamo A.D.U. ("Analog to Digital Unit" è l'unità di misura dell'intensità luminosa di un pixel). Chiaramente l'analogia non è perfetta, infatti le monete di valore maggiore non sono le più luminose (forse per questo non sono riuscito a creare un'immagine riconoscibile...)

Comunque sia, ecco qua sopra una composizione che dovrebbe dare l'idea di un'immagine composta da monete.

Qual'è l'istogramma di questa composizione? Molto semplice: basta raccogliere le monete, ordinarle per valore e ridisporle in fila dal valore più basso a quello più alto in modo da individuare immediatamente quali sono i valori maggiormente presenti nell'immagine.

Si vede chiaramente che i valori maggiormente presenti sono quelli da 1 e 2 centesimi, mentre quelli meno frequenti sono da 5 centesimi e da 2 Euro.

Dunque l'istogramma altro non è che una "distribuzione di frequenze" ordinata dal valore più piccolo al valore più grande.

Ma definizione matematica a parte, di che utilità pratica può essere un'istogramma?
Per la normale fotografia terrestre l'istogramma può indicare ad esempio se il soggetto è troppo "sovraesposto" o al contrario "sottoesposto": nel primo caso si noterebbe un picco di valori nella zona a destra dell'istogramma, quella cioè corrispondente ai pixel più luminosi, nel secondo caso al contrario il picco di valori lo avremo a sinistra dell'istogramma. L'istogramma chiaramente dipende però anche dal soggetto della foto, in particolar modo nel caso delle fotografie astronomiche. Vediamone un paio di esempi confrontati con una normale fotografia "terrestre". Per semplificare la trattazione tutti gli esempi sono in bianco e nero e trasformati a 8 bit (256 livelli di grigio).

La prima immagine è un classico oggetto diffuso astronomico: una cometa. Anche in caso di soggetti diversi come galassie o nebulose, tuttavia, l'istogramma non si discosterebbe molto da quello mostrato sulla destra. Abbiamo una forte concentrazione di pixel poco luminosi, ovvero sulla sinistra dell'istogramma seguito da un graduale presenza di pixel via via più luminosi. La prima concentrazione altro non rappresenta che il numero di pixel del fondo cielo: non a caso il picco si attesta attorno ai valori 12-13 ADU, proprio quelli indicati come valore di fondo cielo dell'immagine (vedi il valore B nella barra di stato sotto l'immagine). La seconda parte dell'istogramma rappresentato dalla "coda" di valori via via più luminosi identifica la chioma e la coda della cometa con le stelle comprese nel campo di ripresa. Si noti poi il picco intorno al valore 255 ovvero il valore più luminoso per un'immagine a 8 bit: si tratta di tutti quei pixel concentrati nelle parti più luminose (e spesso saturate) dell'immagine come la parte centrale della chioma della cometa e la stella saturata in alto a destra.


La seconda immagine tratta un tipico oggetto astronomico esteso come un pianeta: Marte. Si noti subito che in questo caso il fondo cielo dell'immagine è completamente nero (B=0) e questo lo si identifica immediatamente nell'istogramma con il picco verticale in corrispondenza del valore 0. Tutto il resto dell'istogramma rappresenta le variazioni di grigio della superficie del pianeta. I pixel più numerosi sono intorno al valore 150 e rappresentano le superfici più chiare del pianeta mentre quelle più luminose sono concentrate nell'intorno della calotta polare e coprono un range di valori da 230 a 255.

Infine, come terzo esempio, una tipica figura terrestre: un volto umano. In una fotografia correttamente esposta e comprensiva in modo equilibrato di tutta la gamma dei grigi con valori da 0 a 255 l'aspetto dell'istogramma è praticamente piatto.

domenica 26 aprile 2009

Il postprocessing 2 - Calibrazione colore

Il nostro obiettivo è semplice ma al contempo ambizioso: desideriamo realizzare un'immagine della nebulosa planetaria a colori e che si avvicini il più possibile alla visione "reale" dell'oggetto, proprio come se ci trovassimo sospesi nello spazio nelle vicinanze di M27.

Utilizzando qualsiasi programma di elaborazione delle immagini, ci rendiamo presto conto che la manipolazione dei colori così come della luminosità o del contrasto, ci porta a creare centinaia di modalità di visualizzazioni, a volte molto differenti l'una dall'altra.
Questi potenti strumenti informatici, più che aiutarci, così come avviene nelle fotografie terrestri tradizionali, in questo caso ci disorientano e ci lasciano perplessi: quali sono i veri colori degli oggetti celesti?

Le nostre incertezze sono dovute al fatto che non abbiamo nella nostra memoria visiva un'immagine "reale" di confronto, come può avvenire per gli oggetti terrestri: il rosso "Ferrari" , per fare un esempio, sappiamo com'è e possiamo più o meno avvicinarci ad esso se abbiamo necessità di equilibrare i colori di una foto sportiva fatta ad un Gran Premio. Con tecniche più oggettive, i fotografi professionisti utilizzano la tecnica del "bilanciamento del bianco" che consiste nell'equilibrare i tre canali RGB fondamentali in modo tale che un oggetto bianco o grigio abbia gli stessi valori di pixel nel rosso, nel verde e nel blu.
Ma il rosso delle emissioni H-alfa presente in tante nebulose (compresa questa) come appare nella realtà? Anche con telescopi di grande apertura e sotto cieli incontaminati è difficilissimo cogliere i reali colori di nebulose galassie e comete perchè i nostri occhi lavorano in regime di bassissima illuminazione: siamo in una situazione di visione scotopica: i nostri occhi faticano a distinguere differenze di cromaticità e tutto quanto ci appare quasi in "bianco e nero" (e questo è possibile constatarlo anche nella normale visione notturna terrestre).

Ma così come esiste un riferimento "terrestre" per il colore bianco, anche in astronomia possiamo utilizzare un "faro celeste" di riferimento: il nostro Sole, o meglio, le stelle che, come il nostro Sole, sono di una ben precisa e determinata classe spettrale: la G2V. Esattamente come la luce del Sole a mezzogiorno (o meglio, allo zenit) viene considerato lo standard per la luce bianca terrestre, le stelle della stessa classe spettrale G2V possono essere prese a riferimento standard per il colore bianco nelle immagini astronomiche.

Un elenco di queste stelle di riferimento lo si può trovare qui, insieme al file .tdf per poterle identificare nel programma GUIDE, ottimo ed economico planetario multifunzione che utilizzo spesso a supporto delle mie osservazioni.

Il nostro set d'immagini di M27 non era però stato acquisito con l'intento di fare della tricromia ad uso "estetico", quindi non abbiamo ripreso una di queste stelle utilizzando lo stesso set strumentale: dobbiamo accontentarci di quello che abbiamo (accade spesso, purtroppo!)
Per continuare questo breve tutorial possiamo però fare una ragionevole approssimazione: cercare nel campo inquadrato una stella di classe spettrale molto vicina a quella di riferimento.


Aiutiamoci ancora una volta con GUIDE: questo programma può rappresentare le stelle con il colore corrispondente alla classe spettrale d'appartenenza (vedi sopra) ed è sufficiente cliccare con il tasto destro sulla stella per leggerne le informazioni disponibili: le stelle di classe G sono rappresentate in giallo e notiamo subito che ci possono essere due candidate a Est della nebulosa. Quella più in basso, molto luminosa, la dobbiamo subito scartare in quanto risulta sempre sovresposta, mentre quella un po' più in alto, appena al di sotto della variabile DQ Vulpeculae, è quasi perfetta: si tratta della HD 345452 ed è di classe spettrale G5, un pizzico più "arancione" del nostro Sole. Certamente questa piccola differenza non avrà un effetto tangibile nel nostro processo di calibrazione colore.


Abbiamo un'ulteriore fortuna: al momento della ripresa del set di immagini, M27 era ad oltre 70 gradi sopra all'orizzonte, quindi risulta praticamente nullo ogni effetto di arrossamento dovuto all'assorbimento atmosferico.

Ora che abbiamo tre immagini RGB equivalenti (stesso tempo d'esposizione) dello stesso oggetto ripreso con lo stesso identico set strumentale e per di più nella stessa serata, senza che l'oggetto abbia cambiato significativamente la propria altezza sul cielo, possiamo procedere al calcolo dei coefficienti per la correzione del colore tenendo come riferimento la stella HD 345452. L'operazione è molto semplice: per ogni immagine R, V e B si misurano i flussi in ADU della stella campione, utilizzando ad esempio la finestra di zoom ed utilizzando il puntatore a "corona".


Nell'immagine sopra possiamo vedere come avviene la misura del flusso stellare: si sceglie un raggio per l'apertura centrale in pixel in modo tale da contenere la maggior parte del flusso stellare (in genere si sceglie un'apertura pari a 4-5 volte la FWHM della serata). Sulla barra di stato della finestra compaiono tre numeri V, S e B: si tratta rispettivamente del flusso al netto del valore di fondo cielo, del flusso comprensivo del fondo cielo ed infine del valore locale del fondo cielo. Annotiamo il valore V per le tre immagini in R, G e B:

VR = 334173 ADU
VG = 211426 ADU
VB = 103364 ADU

Calcoliamo i pesi dei colori rispetto, ad esempio, al canale del rosso otteniamo:

R = 334173 / 334173 = 1,00
G = 334173 / 211426 = 1,58
B = 334173 / 103364 = 3,23

Sostituendo questi tre coefficienti a quelli corrispondenti calcolati in automatico da Astroart nella finestra di Tricromia, otteniamo finalmente l'immagine con i colori bilanciati rispetto ad una stella di classe spettrale simile al nostro Sole (vedi qui in basso).


Se andiamo a confrontare l'immagine qui sopra con quella bilanciata in modo automatico da Astroart noteremo una certa differenza: in questo caso il bilanciamento automatico ha privilegiato i canali verde e blu.

Nell'immagine sopra, correttamente equilibrata con una stella di classe spettrale simile a quella del Sole, la maggior parte delle stelle appaiono giallo-arancione; quella utilizzata per il calcolo dei coefficienti appare perfettamente bianca, mentre, indagando più a fondo, vi sono alcune stelle con colori del tutto particolari, dal rosso acceso all'azzurro al blu (vedi immagine sotto).

1 - Variabile DQ Vul: si tratta di una gigante rossa, variabile del tipo "Mira". La stella bianca in basso alla sua destra è la nostra stella di riferimento HD 345452, utilizzata per il bilanciamento dei colori.

2 - La stella centrale di M27 è una nana bianca e appare di un deciso colore azzurognolo.

3 - Variabile "Goldilocks": è con ogni probabilità una variabile a lungo periodo della classe "Mira". La particolarità che distingue questa stella è la curiosa circostanza che ha portato alla sua scoperta: pensate che è stata identificata per la prima volta da un astronomo dilettante della Repubblica Ceca confrontando ... due copertine di riviste astronomiche!

4 - Una misteriosa stella che si contraddistingue per il deciso colore blu.

Nel grafico in alto una raccolta di spettri di stelle di differente classe spettrale: ogni spettro è stato separato nella scala della luminosità relativa per evitare sovrapposizioni (dati tratti da Pickles 1998).
Come si vede le stelle emettono radiazioni luminose su tutta la banda dello spettro visibile: il colore (ovvero la temperatura superficiale) è determinato dalla posizione del picco di luminosità.

Le nebulose planetarie però, così come i resti di supernove o le zone di formazione stellare nelle galassie, emettono le radiazioni su bande molto più isolate e ristrette: si dice che hanno uno spettro di "emissione", caratterizzato da righe di luminose generate da elementi ionizzati, specialmente l'idrogeno e l'ossigeno. Il colore di questo tipo di oggetti dunque è fortemente caratterizzato da queste "discontinuità" nelle emissioni di radiazione e soprattutto dal nostro "sistema di visione" ovvero dal telescopio, dalla camera CCD e, soprattutto, dai filtri utilizzati per la ripresa.
Per renderci conto meglio di questo meccanismo è conveniente costruire un grafico: fatta 100 una ipotetica intensità di emissione della riga spettrale, o di trasmissione di un filtro o di efficienza quantica della nostra camera CCD, possiamo disegnare rispettivamente:

le righe di emissione più importanti della nostra nebulosa planetaria (Hbeta a 486,1 nm, OIII a 495,9 e 500,7 nm e Halfa a 656,3 nm) rappresentate da delle rette continue verticali;
le curve di trasmissione dei filtri B, V ed R rappresentate da delle curve tratteggiate;
l'efficienza quantica dell CCD (Q.E) rappresentata da una curva continua di colore fucsia.


La riga di emissione dell'ossigeno 2 volte ionizzato OIII sui 500,7 nm è di gran lunga la più intensa e perciò quella che domina la luminosità e il colore della nebulosa. La seconda riga più importante come intensità è quella dell'idrogeno per la transizione H alfa a 656,3 nm. Notiamo che quest'ultima cade praticamente in modo esclusivo sotto l'area del filtro rosso, come è giusto che avvenga dato che è ad una lunghezza d'onda dello spettro luminoso decisamente nel rosso.
Diversa e più delicata è la situazione per la riga dell' OIII sui 500,7 nanometri: notiamo che cade nella zona di interferenza dei due filtri B e V: infatti, si nota anche nella scala cromatica in riportata in ascissa, i 500 nm sembrano separare quasi esattamente la zona blu dalla zona verde dello spettro cromatico. Purtroppo questa dicotomia perfetta non è rappresentata altrettanto bene dai filtri utilizzati: infatti la riga dell' OIII viene intercettata dal filtro V intorno al 50% della sua intensità relativa. La stessa riga però è intercettata dal filtro B solo per il 7% della sua intensità relativa! Ecco perchè la nebulosa ci appare così verde!
Per riequilibrare un po' le cose dobbiamo dare lo stesso peso del verde al filtro blu, ovvero, con una semplice proporzione B = 0,5/0,07 = 7,14.

Torniamo quindi alle nostre 3 immagini in R V e B della nebulosa e attraverso il comando Tricromia di Astroart applichiamo i seguenti coefficienti:

R = 1,00
G = 1,00
B = 7,14

Il risultato? Eccolo qui sotto.


Se affianchiamo le due immagini centrate sulla nebulosa possiamo apprezzare ancor meglio le differenze.

Dunque, ricapitolando: abbiamo tentato una prima calibrazione dei colori con la tecnica della stella campione di classe spettrale simile al nostro Sole ovvero una stella G2V. Le stelle apparivano con colori compatibili con le loro classi spettrali ma la nebulosa manteneva una forte tonalità verde: è così anche nella realtà? Probabilmente no. Infatti abbiamo visto che queste nebulose, a differenza delle stelle, emettono essenzialmente su righe ben definite dello spettro elettromagnetico. In particolare, M27 presenta una forte emissione sulla riga dell'ossigeno tre volte ionizzato [OIII] che ha la peculiarità di emettere intorno ai 500 nanometri, cioè proprio in mezzo al passaggio dal blu al verde dello spettro elettromagnetico.
Tutto dipende quindi da come agiscono i filtri B e V(=G) utilizzati.
In particolare, il filtro V utilizzato per questo set di riprese, cattura almeno il 50% dell'emissione a differenza del filtro B che ne registra solo il 7% (a parità ovviamente del tempo d'esposizione). Per riequilibrare i colori (cioè portare al 50% anche il contributo del filtro Blu) abbiamo quindi moltiplicato il coefficiente colore del filtro Blu per un opportuno fattore (nel nostro caso B = 0,5/0,07 = 7,14 mantenendo R = 1 e V = 1).
Poichè ogni filtro è diverso (persino gli stessi filtri della medesima casa produttrice presentano delle leggere differenze) occorre determinare l'influenza di questi rispetto alla riga dell'OIII e ridefinire i coefficienti RGB del colore.
Così facendo, tuttavia, torniamo a squilibrare i colori delle stelle.
Ne deriva che, con sole 3 immagini RGB non potremmo mai realizzare un'immagine con nebulosa e stelle contemporaneamente equilibrate nei colori.
In realtà si potrebbe correggere l'immagine con del pesante fotoritocco (ma non è questo il nostro scopo), oppure, ancora più complesso e costoso, si può correggere utilizzando una quarta immagine, realizzata con un filtro a banda stretta sui 500,7 nm, da aggiungere o nella banda blu o nella banda verde, dopo aver effettuato la calibrazione colore delle stelle con il metodo G2V.

martedì 10 marzo 2009

Il postprocessing 1 - Composizione RGB

Abbiamo visto come ottenere un SCIENCE FRAME su una specifica banda fotometrica: la banda V del sistema di Johnson. Non abbiamo per il momento fatto alcuna analisi specifica o calibrazione dell'immagine. Abbiamo semplicemente catturato un'immagine selezionando le onde elettromagnetiche specifiche che corrispondono all'incirca al colore verde dello spettro elettromagnetico. Poichè possediamo altri due filtri del sistema Johnson, il filtro B (λ0= 440 nm, FWHM = 100 nm) ed il filtro R (λ0= 700 nm, FWHM = 210 nm) possiamo simulare una composizione in tricromia del tipo RGB, ove appunto si utilizza il filtro V al posto del classico G (Green = verde).

Non ci resta quindi che riprendere altre due sequenze di immagini (e di FLAT FIELD) esattamente come abbiamo fatto per il filtro V. Se il tutto avviene nella stessa serata e la nostra camera CCD è correttamente termostatata (mantiene la temperatura stabile sul punto di lavoro impostato ad esempio a -30 °C +/- 1°C) e se utilizziamo gli stessi tempi d'esposizione, possiamo anche evitare di riprendere i DARK FRAME ed utilizzare quelli già ripresi durante la sequenza in filtro V.

Alla fine del processo di pretrattamento di tutte e tre le sequenze di immagini, ci troveremo un desktop come quello illustrato sopra. Notate come lo stesso oggetto, ripreso con i 3 filtri, appare sostanzialmente differente, non solo nella intensità luminosa (particolarmente accentuata con il filtro V, nell'immagine al centro), ma anche nei particolari, come nell'immagine in R posta in primo piano.

La realizzazione di una composizione RGB utilizzando Astroart è estremamente semplice: mantenendo aperte sul desktop le 3 immagini, con il comando Colore > Tricromia si aprirà la seguente finestra di controllo:


I tre pulsanti in alto permettono di selezionare l'immagine corrispondente ad ognuna delle tre bande colore mentre il triangolino nero in basso sulla destra espande la finestra con un preview dell'immagine. Se lo attiviamo ecco come ci comparirà:

L'immagine, alquanto psichedelica, è dovuta al fatto che i tre frame non sono ancora stati allineati tra di loro: Astroart permette di farlo "al volo" senza uscire dalla finestra di Tricromia: basta fare click sul pulsantino subito a destra con i due quadrettini sovrapposti: Astroart utilizzerà i suoi potenti algoritmi di allineamento automatico per visualizzare la corretta sovrapposizione dei frame:

Ignoriamo per il momento gli altri pulsantini e facciamo click sul segno di spunta in verde per ottenere l'immagine finale:

Il fondo cielo appare correttamente scuro e le stelle, a parte il difetto di blooming particolarmente accentuato nel canale del rosso, sembrano avere una differente colorazione così come ci si dovrebbe aspettare per stelle di differente classe spettrale e quindi di differente temperatura. Ma la nebulosa? Appare decisamente "verde" con i bordi rosso-violacei. E' così che apparirebbe ai nostri occhi se avessimo il potere di avvicinarci con una fantascientifica astronave ai "bastioni di M27"?
Probabilmente no: Astroart aiuta, con un suo algoritmo di bilanciamento, a dare una "sgrossatura" alla calibrazione del colore dell'immagine ma esistono strumenti oggettivamente più corretti per ottenere una calibrazione del colore che meglio si avvicina alla reale visione dell'occhio umano. E, soprattutto per questi particolari oggetti celesti, occorre fare delle considerazioni, e quindi delle correzioni, sulle loro caratteristiche di emissione nella banda dello spettro visibile.

Nel prossimo post vedremo quali sono queste considerazioni. Per il momento godiamoci il video di questo primo passaggio di postprocessing per realizzare una tricromia con Astroart 4.0

domenica 15 febbraio 2009

Il preprocessing: 2 - "SCIENCE FRAME"

Nelle precedenti argomentazioni abbiamo individuato una serie di elementi digitali che sono normalmente utilizzati per la fotografia astronomica: il LIGHT FRAME e il FLAT FIELD, con i rispettivi DARK FRAME, e i BIAS FRAME. Queste quattro tipologie di elementi digitali, in realtà sono matrici di numeri che, opportunamente combinate tra loro, produrranno l'immagine finale corretta (che chiameremo SCIENCE FRAME). Con il termine "corretta" non si intende ovviamente solo dal punto di vista estetico ma anche dal punto di vista fotometrico (che è quello che più ci interessa).

Un'immagine fotometricamente corretta è necessariamente anche "bella", perchè "pura", ma non è vero il contrario: in Rete si vedono migliaia di immagini astronomiche straordinarie ma nella stragrande maggioranza "impure" cioè fini a se stesse, generate (spesso rovinate) dopo ore di violenza con vari programmi di fotoritoccho. Noi astrofili abbiamo la pericolosa presunzione di poter sopperire alle nostre deficienze tecnico-strumentali con un pesante e massiccio intervento di "image processing". Per fare cosa poi? Delle noiosissime gallerie fotografiche da pubblicare, con orgoglio, sulla nostra pagina Web personale. Dopo tutto è questo l'obbiettivo finale di tanti astrofili: nel migliore dei casi però, dopo aver ripreso decine di volte tutto il catalogo di Messier insieme alle più esotiche e spettacolari NGC, inesorabilmente "ci si stanca": e qui, l'astrofilo virtuoso diventa un "astronomo dilettante" alla ricerca del "fotone perduto".

Vediamo allora come fare il preprocessing classico di una serie di immagini riprese su una singola banda fotometrica: la banda V (visual) . Per le nostre riprese infatti utilizzeremo un filtro centrato all'incirca sulla banda V del sistema fotometrico di Johnson-Cousins: l'argomento filtri fotometrici è abbastanza complesso ma importante e merita una riflessione più dettagliata che faremo in futuro. Per il momento ci basti sapere che il nostro filtro V seleziona una banda di lunghezze d'onda centrate sui 522 nm e con un'ampiezza a metà altezza (FWHM) di 90 nm. In pratica stiamo selezionando una banda dello spettro elettromagnetico centrata sul colore verde della luce visibile.

L'oggetto astronomico al centro delle nostre riprese è una famosa nebulosa planetaria: M27.
Una volta puntato l'oggetto e dopo un'accurata messa a fuoco possiamo riprendere una serie di LIGHT FRAME come quello riportato nella figura qui sotto.


Il numero di LIGHT FRAME da riprendere è a propria discrezione: per il momento ci basti sapere che maggiore è il numero di LIGHT FRAME e meno "sgranata" sarà l'immagine finale (ovvero migliore sarà il rapporto segnale-rumore finale). Anche l'argomento "rapporto segnale-rumore" è importantissimo e verrà affrontato presto. Nel nostro caso sono stati ripresi 5 LIGHT FRAME con un tempo d'esposizione di 240 secondi ciascuno. Anche per il tempo d'esposizione non esiste una regola fissa adattabile a tutte le situazioni: l'unica cosa certa è che, anche in questo caso, maggiore è il tempo d'esposizione e maggiore sarà il rapporto segnale-rumore del singolo LIGHT FRAME. Piuttosto, il limite superiore del tempo d'esposizione può essere dettato dalla presenza o meno di stelle facilmente saturabili proprio come si può notare nell'immagine qui sopra: le due stelle più luminose, una a sinistra e una in basso a destra di M27 hanno un inizio di "blooming", segnale inequivocabile che si è superato il limite di linearità del sensore CCD (per i puristi dell'estetica vedremo che sarà possibile correggere anche questo tipo di difetto).
Subito dopo i LIGHT FRAME sarà la volta dei DARK FRAME e dei BIAS FRAME: questi ultimi non sono strettamente necessari a meno che, come nel nostro caso, la camera CCD non abbia problemi di stabilità di temperatura durante la ripresa dei vari frame. La presenza dei BIAS FRAME nella finestra del preprocessing di Astroart istruirà automaticamente il programma a fare un'ottimizzazione dei vari DARK FRAME prima di creare il MASTER DARK FRAME da sottrarre ai LIGHT FRAME.
Infine occorre riprendere i FLAT FIELD avendo cura di mantenere inalterato il treno ottico (stesso filtro V e stesso fuoco) utilizzato durante la ripresa dei LIGHT FRAME. Nel nostro caso abbiamo utilizzato la tecnica del Master Sky Flat quindi abbiamo già pronto per l'utilizzo il MASTER FLAT FRAME.

Una volta ottenuti tutti i nostri frame, possiamo finalmente compilare la cartella File della finestra di Pretrattamento di Astroart: selezionamo la cartella dei file e trasciniamo gli stessi con un semplice drag&drop nelle corrispondenti caselle così come indicato nella figura qui sotto:


A questo punto dobbiamo dire al programma come vogliamo fare il pretrattamento: questa fase viene impostata nella cartella Opzioni della finestra Pretrattamento.

Innanzi tutto indichiamo che desideriamo "mediare" i 5 DARK FRAME e i 5 BIAS FRAME per creare il MASTER DARK FRAME. Successivamente vogliamo allineare i 5 LIGHT FRAME (scegliendo l'opzione "Auto allineamento" con il metodo "Tutte le stelle") per poi sommarli insieme ed ottenere l'immagine finale. La cartella Opzioni apparirà come nella figura qui sotto:


Ora possiamo lanciare il pretrattamento facendo click sul pulsante OK: in pochi secondi avremo sul nostro desktop la finestra con l'immagine finale aperta (SCIENCE FRAME) e 3 immagini ridotte ad icona in basso a sinistra: BIAS00.FIT, DARK00.FIT e FLAT00.FIT che sono rispettivamente i nostri MASTER BIAS FRAME, MASTER DARK FRAME e MASTER FLAT FIELD utilizzati nel processo: se desideriamo possiamo salvarli per utilizzarli in altri processi (il MASTER FLAT FIELD non ha comunque subito alcuna processo in quanto è lo stesso file salvato che avevamo trascinato nella finestra "Flat Fields" di prima ).

Tutto questo può sembrare un po' complicato descritto solo a parole: qui sotto tutti i passaggi sono mostrati in un breve video.



Abbiamo così creato il nostro primo SCIENCE FRAME dell'oggetto M27 in banda V: si tratta della somma di 5 esposizioni di 240 secondi, dunque l'integrazione totale equivale a 5 x 240 = 1200 secondi = 20 minuti. Se nella cartella Opzioni della finestra Pretrattamento avessimo scelto una diversa opzione di combinazione delle immagini, ovvero "Media" o "Mediana" o "Sigma", il tempo d'integrazione totale dell'immagine finale sarebbe stata sempre equivalente a quello di una singola esposizione, ovvero 240 secondi.

domenica 4 gennaio 2009

Il preprocessing: 1- il Master Sky-Flat

Uno degli aspetti più delicati e in un certo senso misteriosi per il principiante che si avvicina all'astronomia digitale è la costruzione del MASTER FLAT FIELD. In un precedente post abbiamo visto che esistono essenzialmente due tipi di FLAT FIELD: il Dome-Flat, ricavato da una sorgente di luce artificiale posta nelle vicinanze del telescopio, e lo Sky-Flat, ricavato dall'illuminazione del fondo cielo durante le ore dell'alba o del crepuscolo. Quest'ultimo tipo di FLAT FIELD ha il vantaggio di non richiedere attrezzature particolari per la ripresa ma richiede una certa destrezza e velocità di ripresa dei frame durante il breve intervallo di tempo a disposizione e qualche attenzione in più nell'elaborazione dei frame per creare correttamente il MASTER SKY FLAT.

Vediamo quali sono i passi principali da seguire.

Prima di iniziare la sequenza di ripresa dei flat frame, ricordate sempre di:

1) utilizzare la stessa identica configurazione ottica usata per la ripresa delle immagini "GREZZE": stesso fuoco e stesso filtro.
2) verificate che la temperatura della camera CCD si sia stabilizzata e/o fissa nel punto impostato nel caso di controllo termoelettronico della temperatura del CCD.
3) per evitare gradienti sul flat frame puntate il telescopio allo zenit e tenete spento l'inseguimento

Per prima cosa occorre poi fare delle prove per determinare il corretto tempo d'esposizione in base alla luminosità del cielo: l'obbiettivo è quello di riprendere quanti più flat frame possibili nel breve intervallo di tempo che precede la completa oscurità del cielo (se si sta lavorando durante il tramonto) e possibilmente con un segnale sufficientemente grande: se utilizziamo una camera CCD a 16 bit possiamo imporci, ad esempio, un valore medio del flat frame maggiore almeno di metà del range di linearità della camera CCD. Nel nostro caso, avendo determinato il limite di linearità a 60000 ADU, sarà sufficiente che i flat frame siano compresi tra i 30000 e i 60000 ADU. Se ci pensate bene non è una cosa semplicissima: occorrono prove e un po' di esperienza per sfruttare al meglio il tempo a disposizione (generalmente solo qualche decina di minuti). Ovviamente, mano a mano che il cielo si oscura il segnale medio diminuisce e può essere necessario aumentare il tempo d'esposizione: in tal caso occorre prenderne nota e ricordarsi di riprendere una serie di dark frame anche per il tempo d'esposizione più lungo.

Avremo finalmente una serie di sky-flat frame come quello qui sotto illustrato:

Ecco come si presenta un tipico sky-flat frame: sono presenti le strisciate di alcune stelle e persino il passaggio di un debole satellite. Si noti nella status bar in basso il valore medio del backgroud (B = 31456) in ADU.

Come si vede non è necessario tenere acceso l'inseguimento del telescopio: al contrario, tenendolo spento ci assicuriamo che non ci saranno sovrapposizioni di stelle tra un frame e l'altro e potremo così applicare con efficacia la combinazione mediana dei frame.

Nota: ancora oggi non è raro leggere che le serie di flat frame o dark frame devono essere composte da un numero dispari di immagini per poter essere combinate in modalità mediana. Si tratta in realtà di un retaggio del passato quando i primi software di elaborazione delle immagini astronomiche implementavono algoritmi limitati ed incompleti. L'algoritmo completo implementato nei moderni software come Astroart, contempla anche il caso di un numero pari di frame. In particolare si stabilisce che, per calcolare la mediana di n dati:
1. si ordinano gli n di dati in ordine crescente o decrescente;

2. se il numero di dati è dispari la mediana corrisponde al valore centrale, ovvero al valore che occupa la posizione (n + 1) / 2.
3. se il numero n di dati è pari, la mediana è stimata utilizzando i due valori che occupano le posizione (n / 2) e (n / 2 + 1) (generalmente si sceglie la loro media aritmetica).


La combinazione mediana è essenziale per la buona riuscita del MASTER SKY FLAT: è l'unica combinazione che permette di eliminare le strisciate delle stelle o i passaggi di satelliti o altri "difetti" presenti in modo casuale e differente su ogni sky-flat frame. Per funzionare però necessita di un requisito fondamentale: tutti i frame devono avere all'incirca lo stesso valore medio; si dice che devono essere "normalizzati".
Se avessimo ripreso i flat frame sotto una sorgente di luce costante (come nel caso dei Dome-Flat) questo requisito sarebbe stato senz'altro raggiunto senza ulteriori passaggi e avremmo potuto ottenere il MASTER FLAT FIELD immediatamente utilizzando le opportune opzioni riportate nelle finestre di Pretrattamento di Astroart. Purtroppo, nel nostro caso, la luminosità del fondo cielo cambia rapidamente durante i minuti del crepuscolo e la conseguenza è che tutti gli sky-flat frame hanno un valore medio differente l'uno dall'altro: occorre dunque normalizzarli ad uno stesso valor medio di riferimento.

Per procedere con la normalizzazione dobbiamo eseguire due ulteriori passaggi.
Come prima cosa sottraiamo ad ogni sky-flat frame il MASTER DARK FRAME corrispondente e salviamo singolarmente gli sky-flat frame così corretti.

La prima pagina "File" della finestra di Pretrattamento di Astroart assumerà un aspetto simile al seguente:

Nel nostro esempio abbiamo 10 sky-flat frame (ripresi con il filtro rosso) e 10 dark frames. Si noti che, per poter salvare i singoli sky-flat frame, questi vanno inseriti nella casella "Immagini" anzichè in quella dei "Flat Field".

Mentre la seconda pagina "Opzioni" occorre configurarla nel modo seguente:

Facendo click sul pulsante "OK" otterremo nella nostra cartella di lavoro 10 nuovi file con lo stesso nome dei file degli sky-flat frame più un suffisso "_P" ad indicare che sono file "processati": il programma avrà automaticamente calcolato il MASTER DARK FRAME, lo avrà sottratto ai singoli sky-flat frame e salvato i file risultanti sul disco rigido apponendo il suffisso indicato.

Possiamo ora normalizzare questi 10 file processati. Occorre creare una macro ed applicarla (come indicato nelle finestre qui sotto) al gruppo di file con il suffisso "_P".

Utilizzate l'Help in linea per creare ed applicare le macro di Astroart.

La funzione "Normalizza background" utilizzata nella macro richiede come argomento un frame di riferimento dal quale ricavare la costante di normalizzazione: è sufficiente, prima di lanciare la macro, aprire uno degli sky-flat frame processati sul desktop di Astroart e selezionarlo quando richiesto durante il lancio della macro.

Sempre seguendo l'impostazione del nostro esempio, avremo ora nella cartella di lavoro 10 nuovi file con nome "NormFlatRxxx" dove xxx è un numero progressivo. Sono finalmente i nostri sky-flat normalizzati che potremo inserire nella casella "Flat Fields" della finestra di Pretrattamento di Astroart (ricordando sempre di selezionare l'opzione "mediana" del Flat Field nella pagina "Opzioni" della stessa finestra):



Il risultato finale: il MASTER SKY-FLAT perfettamente corretto senza alcun residuo di stelle: